IL PAESE
Il Governo rimasto alla guida del Paese fino alle recenti elezioni dell’ottobre 2021 si è dovuto confrontare con il dilemma delle contrastanti priorità nei diversi campi della ricostruzione, della risposta ai bisogni di base della popolazione, della ristrutturazione dei servizi, del rilancio dell’economia e del mantenimento della sicurezza, a fronte di risorse finanziarie ritenute insufficienti. A oggi, più di 1.186.556 iracheni provenienti dai Governatorati liberati restano sfollati25, e il periodo di stallo che sta caratterizzando il processo di formazione del nuovo Governo contribuisce ad alimentare incertezze su quali saranno e come saranno gestiti i prossimi provvedimenti al riguardo.
L’economia irachena dipende quasi esclusivamente dagli introiti dell’industria del petrolio; nell’arco dell’ultimo decennio questi hanno costituito il 99% delle esportazioni, il 90% del bilancio governativo e il 58% del PIL. Questa eccessiva dipendenza espone il Paese a un’estrema volatilità dal punto di vista macroeconomico mentre le rigidità del bilancio riducono lo spazio a disposizione per manovre fiscali che sarebbero necessarie per contrastare gli effetti di tale volatilità. A gennaio 2021 il tasso di disoccupazione nel Paese era aumentato di dieci punti percentuali rispetto ai livelli pre-COVID-19 (che si assestavano sul 12,7% su una popolazione di circa 40 milioni di persone). La disoccupazione però rimane particolarmente alta fra gli sfollati, i rientrati, le donne in cerca di occupazione, coloro che prima della pandemia svolgevano un lavoro autonomo e i lavoratori informali.
Nonostante ciò, l’economia nel corso del 2021 ha mostrato cenni di ripresa rispetto agli shock rappresentati dal COVID e dal calo del prezzo del petrolio (2020). Nella prima metà del 2021 il GDP è cresciuto dello 0,9%. L’economia non legata al petrolio è cresciuta del 21% circa, soprattutto grazie a una buona performance del settore dei servizi che ha parzialmente compensato la minore crescita degli introiti del settore petrolifero alla luce dell’adesione dell’Iraq alla sua quota OPEC+.
Importanti contributi al bilancio sono stati dati dall’aumento dei prezzi di esportazione del petrolio, che si sono assestati sui 64 USD al barile. Le riforme doganali e fiscali previste dalla legge di bilancio del 2021 hanno incominciato a dare frutti, contribuendo ad un aumento del 53% del fatturato interno, che ha contribuito a sua volta a creare un lieve avanzo di bilancio (0,6%), nonché un lieve surplus delle partite correnti (4,7% del GDP) con un positivo effetto sulle riserve della Banca Centrale.
Il preponderante peso del settore petrolifero sul PIL iracheno è in netto contrasto con il contributo del settore alla creazione di occupazione, che ammonta ad un misero 1% della forza lavoro. Rendendo evidente come sia necessaria una ristrutturazione delle politiche relative al settore al fine di garantire l’assorbimento di una maggiore forza lavoro, in maniera diretta o attraverso l’indotto economico collegato.
Nonostante la situazione economica del Paese mostri graduali segni di ripresa, essa è comunque caratterizzata da fragilità strutturali, quali la cattiva gestione degli investimenti pubblici (con conseguenze negative sull’erogazione dei servizi), l’eccessiva lentezza nell’onorare i debiti contratti (soprattutto quelli accumulati nei confronti dei dipendenti pubblici a seguito di salari non pagati) e l’eccessiva esposizione delle banche statali e della banca centrale. Tali fragilità sono aggravate da un contesto politico instabile, un sistema sanitario compromesso e una corruzione dilagante, che continua a creare un profondo scontento fra i cittadini.
Il governo Al-Khadimi ha cercato di fornire una risposta strutturata alle sfide che attendono l’Iraq, adottando nell’ottobre del 2020 il White Paper for Economic Reform26. Il documento propone un piano triennale che mira a riformare l’intera economia del Paese attraverso più di 200 specifiche misure, dall’introduzione di modifiche alle competenze e strutture del Ministero delle Finanze al fine di esercitare un maggiore controllo sulle politiche finanziarie e fiscali, alla riforma di vari settori economici e dell’amministrazione statale, sino alla ricostruzione delle infrastrutture ed alla fornitura dei servizi di base.
L’allocazione di bilancio per l’anno 2021 non è apparentemente risultata sufficiente a fornire le risorse necessarie per avviare in maniera comprensiva il processo di riforme, né a rafforzare i servizi al cittadino (soprattutto quelli sanitari ed educativi) ai quali sono state destinate risorse ridotte, a favore di un maggiore investimento per la sicurezza.
Per il sistema della Cooperazione Italiana e per la maggior parte della comunità internazionale, i processi di riforma avviati di recente e gli effetti ancora in corso della crisi umanitaria in un paese strategico sia a livello regionale che mondiale – dato il suo ruolo di quarto produttore mondiale di greggio – hanno portato a una rinnovata attenzione al processo di stabilizzazione e di sostegno allo sviluppo in tutto l’Iraq, come anche evidenziato nell’ultimo “Documento Triennale di Programmazione e di Indirizzo 2019-2021”.
LA CRISI UMANITARIA E LA SITUAZIONE DEGLI SFOLLATI
A più di quattro anni dalla fine del conflitto contro l’ISIS e all’interno del quadro sempre più complesso della crisi irachena, i fattori politico-istituzionali, sociali e macroeconomici assumono sempre maggiore peso specifico rispetto a una lettura della crisi fatta esclusivamente da una prospettiva emergenziale.
Il contesto umanitario nel Paese nel 2021 è sensibilmente mutato rispetto agli ultimi anni. Mentre i recenti conflitti continuano ad avere conseguenze sulla vulnerabilità di rifugiati, sfollati e rientrati, la pandemia di COVID-19 ha causato un ulteriore shock che dal 2020 ha fatto sentire i suoi effetti anche nel 2021. Questo, unitamente alla crisi economica causata dal forte calo dei prezzi del petrolio, ha avuto come conseguenza sia un’ulteriore perdita di mezzi di sussistenza per coloro che si trovavano già in condizione di precarietà, sia maggiori difficoltà di accesso ai servizi soprattutto per i rifugiati e gli sfollati alloggiati al di fuori dei campi di accoglienza e per coloro che sono rientrati nelle aree di origine, sebbene in condizioni di insicurezza. In aggiunta a ciò, l’improvvisa chiusura di 14 campi di accoglienza per sfollati avvenuta nella seconda metà dello scorso anno ha causato un ulteriore shock per le 65.000 residenti, che si sono trovati improvvisamente nella condizione di dover rientrare, loro malgrado, nelle aree di origine o di dover trovare sistemazioni alternative, in condizioni di aggravata precarietà (secondary displacement).
La situazione in Iraq nel 2021 resta quindi fragile: circa 1,3 milioni di persone rimangono sfollate e 4,1 milioni di individui hanno bisogno di aiuto umanitario e/o assistenza. Circa 2,4 milioni di loro versano in condizioni di estremo stato di bisogno (600.000 in più rispetto all’anno precedente).
I bisogni umanitari più acuti si registrano nei cinque governatorati (Al-Anbar, Diyala, Kirkuk, Ninewa e Salah Al-Din) che sono stati direttamente interessati dall’occupazione di ISIS e dalle relative operazioni militari da parte dell’esercito iracheno e delle forze della Coalizione dal 2014 al 2017, nonché nei governatorati che ospitano un numero significativo di sfollati (quelli sopra menzionati, più quelli che compongono il Kurdistan Iracheno (KR-I).
Anche se interventi significativi di ricostruzione e stabilizzazione sono in corso, si è ancora lontani dal poter garantire soluzioni durevoli per i rifugiati (circa 280.000, per lo più siriani) e gli sfollati, che vivono ancora in condizioni di estrema precarietà. I ritorni volontari nelle aree di origine rimangono lenti a causa delle permanenti condizioni di insicurezza che includono crescenti tensioni sociali, della mancanza di alloggi adeguati, della difficoltà di trovare un’occupazione e del difficile accesso ai servizi di base.
La pandemia ha ulteriormente indebolito le condizioni economiche e i mezzi di sussistenza già provati dalla crisi umanitaria scaturita dal conflitto con l’ISIS, aumentando la percentuale di persone che ricorre a negative coping mechanisms27 per soddisfare i propri bisogni primari, con gravi conseguenze soprattutto per quella parte di popolazione, quali sfollati e i rifugiati, che fa necessariamente affidamento sull’assistenza umanitaria e che non possiede le risorse per affrontare l’impatto di un nuovo shock di tale portata. Basti pensare che già nello scenario pre-COVID-19 circa l’80% degli sfollati residenti nei campi e il 65% di coloro che invece vivono al di fuori dei campi di accoglienza, ricorrevano a negative coping strategies, con un tasso di povertà che raggiungeva quasi il 40% del totale della popolazione sfollata.
Come effetto indiretto della pandemia, la perdita di lavoro e di opportunità di impiego ha portato alla riduzione del reddito e del potere di acquisto delle famiglie. Soltanto una percentuale minore di famiglie dispone di risparmi e la maggior parte di questi sono di piccola entità: ridulta quindi chiaro come tale situazione abbia esposto soprattutto le famiglie più vulnerabili al rischio di dover adottare negative coping mechanisms (lavoro minorile, matrimoni precoci, sfruttamento sul lavoro) a causa dell’impossibilità di sostenere le spese alimentari, sanitarie ed educative.
Particolarmente a rischio sono le persone prive di documentazione civile (documenti di identità, di stato civile, e certificati attestanti la proprietà di case e terreni), quelle percepite come affiliate a qualche titolo a ISIS, le famiglie guidate da donne sole, i bambini, gli anziani e le persone con disabilità, nonché coloro che hanno subito violenza sessuale e di genere.
Le persone più vulnerabili hanno bisogno di assistenza alimentare e sostegno al reddito, di poter accedere a servizi di assistenza sanitaria ed educativi con standard qualitativi accettabili, nonché ad assistenza legale, acqua potabile e alloggi decorosi. I terreni agricoli e ampie porzioni di aree urbane e peri-urbane sono ancora ampiamente inquinate da ordigni inesplosi.
La fine delle ostilità con l’ISIS e il quasi contestuale calo del prezzo del petrolio iniziato dal 2016, pur nel quadro della crisi, hanno rappresentato anche una finestra di opportunità per un cambiamento strutturale a favore del futuro socio-economico del Paese, che però non è stata sfruttata per le profonde fragilità che si riflettono nell’assetto istituzionale del Paese. Il Governo iracheno, infatti, non ha formulato e assicurato l’attuazione di un piano di ricostruzione, riconciliazione e sviluppo di lungo periodo, né programmato una strategia di crescita economica lungimirante, oltre a non essere ad oggi ancora in grado di garantire la sicurezza dei propri cittadini in grandi porzioni di territorio.
Un recente sondaggio svolto da REACH, l’iniziativa nata nel 2010 per svolgere analisi approfondite e fornire dati aggiornati sui contesti di crisi umanitarie all’interno dei meccanismi di coordinamento tra agenzie, non solo mostra come sia aumentata rispetto al 2019 la percentuale di sfollati che non intende tornare nelle aree di origine ma anche che - dopo oltre quattro anni dalla fine del conflitto - le condizioni di sicurezza nelle aree di ritorno siano ancora al centro delle preoccupazioni degli sfollati che risiedono dentro e fuori dai campi. Con la chiusura dei campi, quindi, la condizione di secondary displacement è diventata una realtà più che attuale che pone una categoria già di per sé altamente vulnerabile in una posizione di grave rischio.
IL CONTRIBUTO ITALIANO IN IRAQ
In Iraq la Cooperazione Italiana è storicamente attiva a supporto delle popolazioni più vulnerabili, siano esse rifugiati, sfollati, minoranze etnico-religiose, tra cui i cristiani e yazidi, donne, minori e disabili, principalmente attraverso interventi sanitari, educativi e di protezione, finanziati in maniera sinergica fra le diverse tipologie di intervento (ordinario/emergenza) e canale di finanziamento (bilaterale/multilaterale). Per quanto riguarda il focus geografico, tenuto conto del grado di vulnerabilità della popolazione presente e la generale instabilità politica dell’area, i territori contesi della Piana di Ninive sono stati obiettivo di diversi interventi, anche prima dell’avanzata dell’ISIS. Nel settembre 2013 è stata aperta un’unità di cooperazione dedicata presso il locale Consolato di Erbil e nello stesso anno, in linea con l’impegno del Governo e delle OSC italiane sulla crisi umanitaria dovuta sia al conflitto siriano che a quello interno al Paese, la Cooperazione Italiana si è attivata con interventi di emergenza sia multilaterali, in risposta ad appelli umanitari, che bilaterali, con affidamenti a OSC italiane e trasporti/distribuzioni di beni di prima necessità.
Dal 2014 le iniziative umanitarie di AICS hanno avuto come obiettivo principale il miglioramento dell’accessibilità, l’inclusività e la qualità dei servizi educativi e sanitari di base a favore dei rifugiati siriani, degli sfollati iracheni e delle comunità ospitanti, prestando particolare attenzione alle categorie più vulnerabili, in particolare minoranze etnico-religiose, donne, minori e disabili.
Obiettivo della Cooperazione Italiana è rafforzare gli impegni presi sui tavoli internazionali attraverso iniziative di ampio respiro, volte a migliorare la coerenza, la sinergia e l’efficacia dell’aiuto umanitario e dei progetti di sviluppo, anche alla luce delle Conclusioni del Consiglio recentemente adottate in materia e del “Joint Communication proposing an EU strategy for Iraq” lanciato i primi di gennaio dall’Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza insieme a DG ECHO.
DAL 2014 A OGGI
Documento triennale 2014-2016: l’IRAQ è escluso dalla lista dei paesi prioritari per Medio oriente nell’ambito di progetti di sviluppo della programmazione ordinaria a favore di un focus umanitario sulla regione autonoma del Kurdistan iracheno.
Documento triennale 2016-2018 (e relativo aggiornamento 2017-2019): presenta una rinnovata attenzione per tutto l’Iraq, con 1) focus umanitario sul Kurdistan Iracheno e 2) stabilizzazione nel resto del Paese.
Documento triennale 2019-2021: l'Iraq torna ad essere Paese prioritario, con focus sul processo di stabilizzazione delle aree liberate dal controllo dall’ISIS e nuova attenzione alla tutela del patrimonio culturale, al sostegno ai processi democratici e al buon governo, oltre a interventi di assistenza umanitaria.